Sono le 8 del mattino quando il nutrito gruppo si incontra nel punto prefissato di Montelibretti, prima di uscire dalla città e dirigersi verso la montagna. Il nostro itinerario odierno prevede la salita sul Monte Cava.
Dopo un viaggio di circa un ora e mezza arriviamo al punto di inizio del percorso che ci porterà sulla cima del monte, sui 2000 m s.l.m. Siamo circa una ventina a partecipare a quest’escursione, come sempre allegri e carichi, pronti a condividere la stessa passione per il quale ogni volta è bello ritrovarsi.
Ad accoglierci una giornata primaverile, dalla temperatura mite e con un sole che illumina un cielo con poche nuvole. La stagione è stata fino ad oggi avara di neve e lo sarà anche questa volta per cui non abbiamo bisogno di ciaspole e la nostra marcia parte spedita con zaini pesanti in spalla e il rumore degli scarponi sulla neve sottile.
Dopo esserci addentrati in una zona boscosa, il gruppo rimane unito (a parte un incertezza iniziale sul sentiero da percorrere) e procede con tranquillità in fila indiana, nonostante la fatica e il fiato grosso. Nel bosco il silenzio e i colori della natura stimolano l’introspezione. Non serve spendersi in tanti dettagli per tentare di descrivere la sensazione che si prova quando la natura si lascia ammirare, offrendo lo spettacolo di sé. Un senso di rigenerazione e armonia, fuori dall’ordinario, dilata il nostro animo e rende il nostro spirito più leggero. Ci si sente parte attiva di un tutt’uno con il creato. Finalmente ci riappropriamo del tempo per stare con noi stessi in modo sano e costruttivo.
La salita prosegue e man mano che la quota sale notiamo che il manto nevoso è assai sottile, lasciando affiorare in molti punti i sassi e i fili d’erba sottostanti.
Giunti a circa 80 metri dalla vetta, la zona mite piena di neve va sempre più a dileguarsi lasciando spazio a una zona molto ventata la cui superficie è una lastra vetrata di ghiaccio sempre più dura e scivolosa con il calar del sole. Ecco allora la decisione di non rischiare inutilmente, interrompendo la scalata e rinunciando a raggiungere la vetta, distante pochi passi da li.
Molto spesso il raggiungimento di una cima può rappresentare un occasione per alimentare il proprio orgoglio. La montagna ci insegna che il fine della scalata non è il raggiungimento della vetta o la ricerca del record sportivo, della fama, della gloria o della gratificazione fine a se stessa. L’ascesi della montagna è invece uno strumento che ci permette di conoscere meglio se stessi perché come in questa situazione è importante rimanere lucidi e coscienti, compiere la scelta saggia e migliore, ascoltare e rispettare ciò che la natura consiglia, senza essere schiavi della superbia.
La pratica della montagna deve essere funzionale ad una crescita interiore.
Questo è il tesoro e l’insegnamento che ci portiamo dentro, scendendo verso valle.
La sera arriva presto, decidiamo per cui di sistemare le tende a metà della nostra discesa. Sotto un cielo stellato e una luna crescente (quasi piena), tra una risata, un bicchiere di vino e qualche goliardica canzone consumiamo la nostra cena attorno al fuoco. Siamo stanchi ma felici della bellissima giornata vissuta che solo la montagna può farci provare. Il giorno dopo, la sveglia suona doverosamente di buon mattino. Prima di riprendere la discesa verso valle, c’è tempo per un saluto al sorgere del Sole, una sana colazione e un momento riflessivo con una lettura ben orientata.
Il rientro al parcheggio delle auto avviene in un clima allegro e sereno, accompagnata da una temperatura primaverile.
Ancora una volta abbiamo assaporato l’appagante esperienza della montagna che è fatica e sofferenza ma soprattutto strumento per l’ascesi della vetta più importante, quella interiore. Un omaggio va alle nostre belle montagne e per le prossime che verranno il destino possa trovarci sempre forti e degni.
In alto i cuori!



