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Campo invernale 2015 – recensione

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“Stanchi, sporchi ma felici” recita una celebre canzone che è parte integrante della nostra formazione. Non è la solita retorica, il solito slogan, perché queste parole riassumono in pieno lo stile di vita anti-borghese che dovrebbe contraddistinguerci e lo fanno con la stessa semplicità che dovrebbe essere intrinseca a questo stesso modus vivendi. Sicuramente rappresentano perfettamente la “colonna sonora” di questi due giorni di campeggio invernale.

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La felicità, nonostante la stanchezza e la sofferenza provati. La leggerezza, nonostante la mancanza dei comfort a cui la nostra vita borghese ci ha abituati. La gioia, nonostante la stanchezza che l’indomani, sui nostri posti di lavoro o di studio, ci ha assaliti, perché le ore di sonno, comunque, sono state poche e la fatica, invece, tanta.

La partenza per questa uscita di due giorni è prevista per la mattinata di sabato nella zona del Rascino (Rieti). Giunti sul posto ci dividiamo tutto il materiale comune – tende, fornelli, lampade, provviste… – e ci mettiamo in cammino.

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Dopo qualche centinaio di metri raccogliamo i cuori e le menti a Francesco, nostro fratello scomparso ormai più di due anni fa. Lui amava questo luogo e sicuramente col suo zaino pieno di roba, anche bizzarra, ma sempre e rigorosamente da condividere con tutti, il “guerriero generoso” ci avrebbe accompagnati e sostenuti nella salita, così come anche in vita solo lui sapeva fare, nella sua essenzialità.

Più saliamo e più la neve addolcisce alla vista l’aspetto dei luoghi, costringendoci però sin da subito ad indossare le ciaspole e così, dopo circa tre ore di camminata, salendo in cresta e scavallando, ci adagiamo nella valletta che avrebbe ospitato il nostro capo-base. Ci fermiamo a ridosso di un complesso di due o tre edifici destinati ad accogliere i pastori durante i loro pascoli.

E’ il momento del pranzo, dopo aver allestito il campo base su un manto di oltre 1 metro di neve. Di contro all’egoismo borghese che spingerebbe gli individui a mantenere per loro le risorse di cui dispongono, malgrado ne abbiano in abbondanza, ognuno di noi comincia a mettere a disposizione degli altri una parte della propria razione, portata appositamente per essere offerta. È proprio questo un altro insegnamento dell’essenzialità: il pensare per gli altri, dal dividersi un pezzo di pane a soccorrere un fratello in difficoltà anche magari prendendo su di sé il suo carico che a noi, in quel momento, alleggerisce l’anima.

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Allestito il campo e fatta una lettura attorno al fuoco, ci organizziamo per la cena. Per la serata questa valle, questo cielo, questo freddo sarebbero diventati la nostra reggia, in cui, col vino in gola ed i cuori elevati al stelle dai nostri canti, abbiamo ancora rinnovato, da quell’angolo di piena solitudine, la nostra sfida al mondo moderno.

L’indomani mattina osservare il Sole sorgere all’alba da una delle vette circostanti è stato il giusto alimento per i nostri cuori che, anche dopo il ritorno nelle nostre case, conserveranno al loro interno questa immagine del più grande tra i misteri del cosmo. Sarà l’immagine di questo Sole a guidare i nostri cuori nei momenti negativi che tenteranno di coglierci impreparati.

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Così, carichi di questa bellezza dopo una colazione frugale, partiamo alla conquista della vetta del monte Cava. Al secondo giorno di camminata, dopo una notte passata al freddo, a quasi 10° sotto lo zero,  durante le “pettate”, il carico sulle nostre spalle comincia a farsi sentire. Ma non è infondo questo quello che noi cerchiamo dal campo? Svegliare la bestia che in noi dorme per poterla di nuovo domare, questo noi vogliamo! Perché ogni idea nobile è trasfigurante solo se vissuta a pieno ed interiorizzata e, purtroppo o per fortuna, senza sofferenza non v’è alcuna trasfigurazione; nessun lamento si trasforma in sorriso. È così che capiamo il senso della espressione “riportare la vetta in pianura”: è il vivere quotidiano con la stessa tensione della salita che trasforma ogni momento in un atto potenzialmente eroico. Non per il record né per l’appagamento, ma è per questo che noi saliamo!

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Ci ritroviamo al campo base dopo questa escursione di quattro ore circa, smontiamo tutto, pranziamo frugalmente e ripartiamo, ci aspettano le ultime ore di cammino, con la stanchezza nelle gambe, le calze bagnate ed i volti sferzati dal vento gelido. Torniamo alle nostre macchine e salutiamo questa esperienza, anche quest’anno troppo breve.

Prima di giungere infine al parcheggio, chiudiamo l’escursione con un ultimo saluto a Francesco, sempre in quello stesso posto, di fronte alla quale la vista si chiude su tutta la valle. E’ proprio qui che ce lo immaginiamo: ad ammirare l’orizzonte, seduto in contemplazione, con accanto il suo bastone di legno, compagno fedele di mille salite. E’ a lui ed a Gaetano che va il ricordo in questi momenti immortali. Forse perché immortali loro lo sono diventati già. Noi abbiamo ancora tanta strada davanti…


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